Ci aveva parlato, Gesù, della necessità di pregare: quando pregare? Sempre, ci diceva con la parabola della vedova insistente e il giudice disonesto. Oggi ci dice come deve essere la nostra preghiera e porta come esempio due atteggiamenti: quello del fariseo e del pubblicano.
Tutti e due si presentano nel tempio, luogo privilegiato della presenza di Dio dove si entra per creare un rapporto personale con Dio e per rivedere certi nostri atteggiamenti interiori. Anche se il luogo è lo stesso, i due non pregano allo stesso modo. Già le posizioni che assumono nella loro preghiera sono significative: uno sta in piedi, sicuro di sé e si rivolge a Dio come uno che non aveva nulla temere. L’altro non alza neanche lo sguardo al cielo e si batte il petto in segno di richiesta di aiuto. E Dio che vede il cuore esalta l’umiltà del secondo e dice che tornò a casa giustificato a differenza dell’altro.
Che cosa c’era di negativo nei comportamenti del fariseo? In fondo faceva le cose giuste e anzi, faceva molto di più del richiesto. Quindi Gesù non condanna le buone opere che ha compiuto, ma quel senso di autosufficienza che mette fuori dalla propria vita Dio stesso. Nella sua preghiera, il fariseo, non rende gloria a Dio per i doni che gli ha dato ma perché egli, con le sue forze è riuscito a fare una serie di opere e disprezza il pubblicano. “Solo io sono giusto e tutti gli altri sono peccatori”: questo è l’atteggiamento di base della preghiera del fariseo.
Quel “tornò a casa giustificato” non è l’approvazione di quello che aveva fatto nella sua vita il pubblicano. Veniva considerato come un peccatore pubblico ed era un nemico dichiarato del popolo perché estorceva le tasse per l’impero romano. Gesù approva invece, il modo di mettersi davanti a Dio del pubblicano che riconosce il proprio peccato e non si degna neanche di alzare gli occhi al cielo e prega Dio battendosi il petto. Questo atteggiamento purifica il suo cuore e torna a casa giustificato da Dio.
Quali sono i nostri atteggiamenti nella preghiera? Riusciamo anche noi a stare davanti al Signore con un cuore contrito e batterci il petto perché vogliamo chiedere misericordia da Lui? San Benedetto, al vertice dei dodici gradini della scala dell’umiltà cita proprio questa parabola e indica il pubblicano come modello di preghiera per il monaco. Un padre del deserto dice che chi riconosce i propri peccati è più grande di chi risuscita i morti; e chi sa confessare i propri peccati al Signore e ai fratelli è più grande di chi fa miracoli nel servire gli altri.
Riconoscere il nostro peccato davanti a Dio è lasciarci accogliere e perdonare da Dio: solo Dio può guarire la nostra debolezza. Non bisogna guardare agli altri con un occhio cattivo per vedere le loro mancanze: Gesù ci dice di stare attenti alla trave nel nostro occhio prima di togliere la pagliuzza dall’occhio del fratello.
Lasciamoci conquistare dalla misericordia e dall’amore di Dio che perdona le nostre mancanze e ci rende capaci di perdonare e amare gli altri. Chiediamo che ci doni la sua forza per essere umili e riconoscenti della sua grazia nel nostro cammino di fede. Che la luce dello Spirito ci accompagni ogni giorno della nostra vita.
Buona domenica a tutti!
P. Sabu