San Bernardo, Abate e Dottore del XII secolo
Il fatto che più stupisce, nella personalità di questo grande Santo, Dottore della Chiesa, maestro di vita e di spirito nei secoli del Medioevo, è il potere di attrazione che egli, fin dall’adolescenza, seppe esercitare sulle anime.
Egli fu una specie di mistica calamita, che da principio parve, facendo un gioco di parole, addirittura una calamità. Nato nel 1080, in Francia, nel castello di Fontaine-lez-Dijon, era figlio del Conte Tescellino e terzo di cinque fratelli e di una sorella.
Il probabile significato del nome germanico di Bernardo, che sembra voglia dire “orso forte “, e quindi ” forte come un orso” contrasta con l’immagine più comune dei Santo che la Chiesa oggi solennemente ricorda, Bernardo da Chiaravalle, definito “l’innamorato della Madonna “.
Gentile di persona, bello di aspetto, snello ed elegante, era un biondo paggio che sembrava destinato a far sospirare tutte le fanciulle del Ducato di Borgogna, quando, a sedici anni, avvertì un richiamo spirituale e decise di farsi monaco.
Abbandonò il castello, e dopo la sua partenza il castello restò vuoto, perché dopo di lui partirono tutti i fratelli, e poi il padre, e poi la sorella. E come se ciò non bastasse, trenta giovani della nobiltà borgognona seguirono Bernardo nel monastero, lasciando il paese privo dei suoi più promettenti cavalieri.
L’Ordine benedettino, che in Francia aveva il centro nella grandiosa abbazia di Cluny, si era troppo impinguato di beni e quasi mondanizzato. Gli Abati mangiavano ancora di magro, ma in vasellame d’argento lavorato; i monaci dormivano le ore fissate dalla Regola, ma sotto baldacchini dorati.
Bernardo conduce i compagni nel monastero di Citeaux, dove la regola è più severa. Non contento, si trasferisce a Chiaravalle, dove riprende l’antica Regola benedettina, consistente nel pregare continuamente con l’anima e con la mente, con la parola e con il lavoro, con lo studio e con i digiuni.
E Chiaravalle diventa davvero tutta una luce. Da quella valle, Bernardo fa scaturire una fonte di grazia che irrora tutta la Cristianità. Lì, dopo il lavoro e stremato dalla penitenza, compone le sue opere piene di fiducia e di dolcezza, i suoi trattati di dottrina e di contemplazione, le sue dichiarazioni d’amore alla Madonna.
Egli non desidera che la vita contemplativa, ma Vescovi e Papi lo chiamano a sostenere dispute, a intraprendere predicazioni. Dovunque appare, suscita entusiasmo, ammirazione, devozione. Opera miracoli, ma quasi spaventato da ciò che succede intorno a lui, grida: ” Non c’è nessuna relazione tra questi miracoli e me! “.
Egli non è che un docile strumento nelle mani di Dio. ” lo servo volontariamente – dice -perché la carità mi fa libero “. Dinanzi a lui, maestri di dubbia dottrina come Abelardo debbono dichiararsi vinti; Papi scismatici come Anacleto Il debbono sentirsi in colpa.
Egli è la coscienza e la luce del tempo, fino alla morte, nel 1153, dopo aver suscitato enorme entusiasmo predicando la seconda Crociata. E se vogliamo avvicinarci al segreto della sua capacità di trascinare le anime, possiamo rileggere queste sue parole, di vero innamorato dell’amore: ” Amiamoci, perché siamo amati: è il nostro interesse e l’interesse dei nostri. In ciò che amiamo, noi riposiamo; a coloro che amiamo, offriamo questo riposo. Amare in Dio significa avere carità; cercare di essere amati per Dio, significa servire la carità “.