I° DOMENICA DI AVVENTO

avventoIniziamo un nuovo anno liturgico con la prima domenica di Avvento e come all’inizio di ogni anno bisogna fare dei buoni propositi da portare avanti durante tutto l’anno e specialmente e più immediatamente vivere bene il tempo d’Avvento che il Signore ci dona: un tempo da vivere in compagnia della Parola di Dio. Vediamo allora cosa ci propone la Parola per questa domenica.

Tutte e tre le letture ci danno molti spunti per la nostra riflessione. Il primo invito che ci viene dalla prima lettura è quello di salire sul monte del Signore. L’Avvento è un cammino: un cammino verso la casa del Signore per essere tra le braccia del Padre misericordioso. Per salire sul monte del Signore bisogna camminare nella luce del Signore. Il tempo di Avvento è un tempo di grazia dove la luce della fede ci deve guidare ed accompagnare.

San Paolo ci esorta dicendo che è ormai tempo di svegliarvi dal sonno. Possiamo dire che siamo svegli, ma pensiamo se siamo davvero svegli spiritualmente oppure no. Il giorno si avvicina e questo giorno è il giorno del Signore che viene a visitarci. Colui che è venuto nel tempo per portarci la salvezza, alla fine dei tempi verrà per portarci alla sua gloria. Ecco allora la raccomandazione di Paolo: Gettiamo via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce. Rivestitevi del Signore Gesù Cristo.

La pagina del Vangelo, che apparentemente sembra una parola catastrofica e che invece è sempre una parola di consolazione e di speranza, ci invita ad essere vigilanti ed attenti nel nostro cammino: Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Una parola che ci ricorda sì la fragilità della vita umana, ma ci ricorda anche la bellezza di questo tempo di Avvento che è tempo di attesa del Signore.

Che cosa possiamo fare perché il cammino sia fruttuoso? Abbiamo terminato un anno importante: l’anno giubilare della misericordia. Ma siamo appena all’inizio perché il cammino di misericordia non è qualcosa che si possa ridurre in un anno. Deve, invece, contagiarci per tutto il cammino della nostra vita. In questo periodo di Avvento potremo pensare ai frutti di misericordia che siamo chiamati a produrre nel nostro cammino: verso Dio, verso il prossimo e verso noi stessi. Se Dio è misericordia, il cammino che faremo durante il tempo di Avvento deve essere un cammino verso la Misericordia: verso un Dio che viene a visitare la nostra vita e vuole riempirci della sua grazia e del suo amore.

Iniziamo con gioia ed entusiasmo questo tempo di Avvento e prepariamoci a ricevere i doni che il Signore viene a portarci. Gustiamo davvero la bellezza di questa attesa e quando verrà il Signore se ci troverà pronti, pensate che gioia Gli daremo. Chiediamo che lo Spirito Santo ci accompagni in questo tempo di Avvento.

Buon cammino a tutti!

P. Sabu

XXXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

cristo-reSiamo all’ultima domenica di questo anno liturgico e la Chiesa celebra la festa di Gesù Cristo, Re dell’universo. Una festa che ci invita a riflettere sulla nostra adesione a Cristo e sulla nostra fede in lui.

Quando si celebra un re ci si aspetterebbe qualcosa che si addice ad un re: un trono d’oro, uno scettro di diamanti, una corona di gemme preziose e vestiti lussuosi. Ma il nostro re ha come trono la croce, come corona una corona di spine, è nudo e come scettro ha solo dei chiodi a cui è appeso. Anche lui aveva attorno a sé dei soldati, ma non facevano ciò che voleva lui e addirittura lo schernivano. Possibile che sia lui il nostro re? Non è che abbiamo sbagliato nel seguirlo?

Oggi come allora non sono pochi coloro che fanno difficoltà ad accettare questo re crocifisso e rimane un grande scandalo di fronte ai modi di pensare e a degli atteggiamenti dell’uomo. Sarebbe stato più facile accettare un re glorioso, un re potente, un re che mette in riga i suoi sudditi e incute paura: un re sulla croce è più difficile da accettare e seguire.

Ai piedi della croce ci sono: il popolo, i capi e i soldati. Accanto a Gesù ci sono i due malfattori. Le reazioni di queste persone sono tutte da considerare bene. Il popolo resta ad osservare che cosa succede. Forse aspettavano qualcosa di più e di diverso: avevano sentito parlare di Gesù e molti avranno anche visto i miracoli compiuti da lui. Un Maestro così non poteva finire sulla croce, l’epilogo della sua vita non può essere questo. Ecco lo sguardo stupito della gente.

Ci sono i capi che invece deridono Gesù e lo fanno per due motivi: è il Cristo di Dio ed è l’eletto. Se è l’eletto di Dio, poteva finire così e perché Dio non lo aiuta? Se Dio non l’aiuta vuol dire che tutto quello diceva era falso. Quindi cercano di mettere in ridicolo non solo la crocifissione di Gesù, ma anche tutto quello che aveva insegnato durante la vita.

I soldati lo deridono per la scritta che aveva sulla testa: il re dei giudei. Può un re finire così male? I soldati obbedivano solo a un re che sa comandare, non ad un re che muore sulla croce senza opporre resistenza. Il malfattore, crocifisso insieme con Gesù sulla croce, lo deride perché voleva essere liberato dalla croce e tornare alla sua vita di prima.

In tutta questa scena c’è solo il ladrone pentito che riconosce la potenza di colui che gli stava accanto: Signore, ricordati di me quando sarai nel tuo regno. Infatti è l’unica provocazione che ottiene una risposta dal Crocifisso e che risposta! Oggi sarai con me nel paradiso.

Noi da che parte siamo? Accettiamo colui che aveva insegnato ai suoi discepoli che lui era venuto per servire e non per essere servito e per dare la sua vita in riscatto per molti? Siamo capaci di imparare la lezione da colui che si china ai piedi dei suoi discepoli per lavarli dicendo che anche loro devono seguire il suo esempio?

Il re sulla croce continuerà a suscitare scandalo anche per noi, ma bisogna fare una scelta nella nostra vita. Se scegliamo Cristo e la sua strada, anche noi dobbiamo accettare la logica di dare la vita per riceverla. Accogliere questo Re significa amare senza condizioni ed essere pronti a perdonare perfino dalla croce. Sappiamo che la strada è lunga e allora rimbocchiamoci le maniche e chiediamo aiuto a lui stesso. Quando la strada si fa dura il Suo Spirito ci illuminerà e ci sosterrà.

Buon cammino e buona festa del nostro Re a tutti!

P. Sabu

XXXIII° DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

arch_of_titus_menorahSiamo alla penultima domenica dell’anno liturgico e la Parola di Dio, nonostante quel linguaggio che gli esperti chiamano “apocalittico”, oggi ci invita ad aver fiducia e speranza in Dio e trovare in lui la nostra consolazione e a non lasciarci ingannare da quello che succede attorno a noi.

I discepoli guardano la bellezza del tempio di Gerusalemme, ma Gesù che vede oltre il visibile annuncia che di tutto quello che ammirano non resterà pietra su pietra. Ovviamente tutti sono sbalorditi di fronte alle parole di Gesù, ma lui non si scompone e continua a parlare loro degli sconvolgimenti che ci saranno nella natura e le persecuzioni che dovranno affrontare i suoi  discepoli. Nonostante ciò il discepolo è chiamato ad aver fiducia.

Le parole del Vangelo hanno un’attualità incredibile per noi oggi: sembra proprio che Gesù le abbia dette tenendo presente tutto ciò che succede attorno a noi oggi. Chissà quante volte anche noi abbiamo ammirato le bellezze delle opere d’arte delle nostre chiese o dei musei e in un attimo tutto è sparito per un terremoto o per una qualsiasi calamità naturale! Nel sentire dei fatti terrificanti anche noi, almeno qualche volta, ci siamo domandati sul senso della nostra vita e sulla fine della nostra storia. La Parola di Dio ci invita a meditare sul fine della nostra storia perché è Dio che conduce la storia e noi siamo nelle sue mani.

Nonostante le difficoltà e le persecuzioni i discepoli del Signore hanno la loro fiducia nel Signore: “Nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto”, questo non significa che ci verranno risparmiate le persecuzioni e le sofferenze, ma in tutto ciò Dio sarà al nostro fianco e ci dirà tutto quello che siamo chiamati a fare nel nostro cammino.

L’ultima raccomandazione che lascia ai suoi discepoli è quello di perseverare nel proprio cammino. Essere perseveranti vuol dire essere coerenti, essere fedeli, essere tenaci. Sappiamo quanto è difficile nel mondo di oggi essere dei cristiani veri. Immaginate gli ambienti di lavoro, le cerchie dei nostri amici: ci fanno venire quasi la voglia di nascondersi, di nascondere la nostra fede. Ma sono proprio quelli i momenti dove siamo chiamati a rendere testimonianza al Signore. La nostra perseveranza, quindi, non è qualcosa di straordinario da mostrare in qualche momento della nostra vita, ma qualcosa di immensamente ordinario e che ci aiuta ad essere cristiani ogni giorno della nostra vita con coraggio.

Sappiamo che questa perseveranza non è cosa facile per noi e allora bisogna fare sempre riferimento al Signore e alla sua grazia. Se Lui è uno che tiene conto anche di un solo capello del nostro capo, proviamo anche noi ad avere più fiducia, a trovare consolazione nelle sue parole. Con la nostra perseveranza, dimostrata nelle situazioni concrete della vita quotidiana salveremo anche noi la nostra vita.

Chiediamo che ci aiuti con la sua grazia, ci illumini col suo Spirito e ci insegni la strada da seguire.

Buona domenica a tutti!

P. Sabu

XXXII° DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

sadduceiSiamo ormai agli sgoccioli! La vita terrena di Gesù sta volgendo al termine e l’ora della salvezza è sempre più vicina. Il cammino iniziato alla grotta di Betlemme arriva a Gerusalemme, città su cui piange Gesù perché non ha saputo accogliere il messaggio salvifico e si è allontanata da Dio. Dalle periferie Gesù arriva al centro del potere e dell’autorità. Satana aveva lasciato Gesù per tornare al tempo opportuno e sembra che ora si ripresenti nella forma dei suoi avversari, gli scribi, i farisei, i capi del popolo e sommi sacerdoti per metterlo alla prova. Il capitolo 20 di Luca è pieno di questi incontri – scontri.

Tra questi scontri abbiamo anche quello presente nel brano del Vangelo di oggi: i sadducei che interrogano Gesù sulla risurrezione. I sadducei erano un gruppo di latifondisti e commercianti dunque molto ricchi e non credevano nella risurrezione e prendevano per buono solo i primi cinque libri e nella loro osservanza della legge pensavano solo a ciò che aveva detto Mosè. Ecco anche il loro modo di presentarsi: Mosè ci aveva prescritto. Questo gruppo cesserà di esistere con la distruzione del tempio nel 70 d.C.

Ridicolizzano in qualche modo la fede nella risurrezione dai morti perché credevano solo nella teologia della retribuzione: Dio premia con la ricchezza e i beni materiali coloro che osservano la Sua legge e punisce con la povertà e  le sofferenze coloro che non la osservano. Tutto finisce qui sulla terra e l’esempio fittizio della donna che portano davanti a Gesù voleva dimostrare l’assurdità della risurrezione.

Non avevano, ovviamente fatto i conti con il Maestro che è Signore dei vivi. Nella sua risposta ai sadducei Gesù rivela prima di tutto la loro ipocrisia. L’errore è pensare alla vita dopo la risurrezione come continuità della vita di questa terra. Ecco la “preoccupazione” nel pensare di chi sarà la moglie, colei che ha avuto sette mariti. Gesù li invita a pensare alla vita eterna come una vita nuova, non una continuità della vita terrena. E in questa nuova vita la situazione terrena non conterà più e per vivere non ci sarà bisogno della fisicità e la situazione dei risorti sarà una situazione degli angeli.

Noi crediamo nella risurrezione e sappiamo anche la fatica nel crederci, ma è il fondamento di tutto il nostro cammino cristiano e san Paolo ci ricorda che se non crediamo che il Signore Gesù è risorto dai morti, la nostra fede è vana. E l’affermazione di Gesù ci viene incontro e continua a ripeterci che il nostro Dio non è il Dio dei morti, ma dei viventi. Siccome Dio è vita, ci fa partecipare nella sua vita e ci vivifica.

Non solo, Gesù afferma che tutti noi viviamo per Lui, cioè per Dio. In quest’ottica possiamo dire che pregustiamo già la vita eterna perché noi abbiamo Dio presente in noi già su questa terra. I sacramenti che celebriamo e soprattutto l’Eucarestia, ci fa partecipi della vita divina del Cristo. Quindi rinnoviamo il nostro impegno cristiano nella vita e chiediamo che il Dio dei vivi ci renda capaci di testimoniare la bellezza della vita in Lui e che possiamo proseguire il cammino terreno della vita con gioia ed entusiasmo.

Buona domenica a tutti!

P. Sabu

XXXI° DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

gesu_zaccheoUn uomo piccolo che voleva ma non poteva vedere Gesù stando in mezzo alla folla, ma il vero impedimento sicuramente non era la sua statura o comunque non quella materiale. Era un uomo ricco e capo dei pubblicani. I pubblicani venivano considerati peccatori pubblici e il popolo d’Israele si guardava bene di non immischiarsi con loro e li teneva a debita distanza. La ricchezza, per la logica del Vangelo, poteva essere un impedimento per far parte del Regno dei cieli. La nota positiva? Il suo desiderio di vedere Gesù. Forse ne aveva sentito parlare, forse dentro di sé si sentiva inquieto e comunque questo suo desiderio lo premia.

Zaccheo  cerca di superare i suoi limiti per vedere Gesù: corre e sale sull’albero di sicomoro. Dice Sant’Ambrogio: “Zaccheo sull’albero è il frutto nuovo della nuova stagione”. Un frutto che è opera di Dio conseguenza dell’accoglienza della salvezza portata da Cristo.

Anche quando sale sull’albero forse non pensa ancora di incontrarsi con Gesù: voleva solo vederlo. Il sicomoro è un albero con le foglie molto fitte per cui Zaccheo poteva nascondersi senza farsi vedere né da Gesù né dagli altri. Anche perché questo uomo, noto per la società, nascosto dietro le foglie del sicomoro avrebbe creato scena ridicola. Ma dove l’uomo vede il male, Dio vede il positivo e non nega il suo perdono a nessuno.

Ecco Gesù che si ferma sotto l’albero e dice a Zaccheo di scendere subito perché doveva fermarsi a casa sua. Uno che voleva solamente vedere Gesù ha addirittura la possibilità di averlo come ospite. Qui inizia il cammino di conversione di Zaccheo: il fatto che Dio non aspetti la conversione del peccatore per perdonarlo è una logica che scombussola le nostre valutazioni sulle persone. L’azione di Dio precede l’azione umana e anche per Zaccheo il perdono precede la conversione.

Ma come conseguenza del perdono c’è la conversione: la decisione di dare la metà dei suoi averi ai poveri e di dare quattro volte tanto a quelli che aveva frodato è il segno che Zaccheo aveva capito la lezione. Se prima pensava al guadagno personale ed egoistico, ora l’attenzione è puntata sulla giustizia e sulla condivisione. E’ sempre una conseguenza dell’accoglienza del perdono di Dio.

Questo racconto ci insegna che per Dio non esistono casi perduti: se l’uomo giudica altri uomini come peccatori, agli occhi di Dio sono sempre persone umane che hanno possibilità di conversione. Quindi l’invito è a non disperarsi mai: abbiamo un Dio che ci perdona ancor prima che noi produciamo frutti di conversione nella nostra vita e forse anche il nostro desiderio di conversione è opera sua.

Bisogna coltivare sempre il desiderio di incontrarci con Dio e fare di tutto per superare i limiti che impediscono questo incontro. Cerchiamo di essere fiduciosi perché il nostro non è un Dio che si scandalizza di fronte ai nostri peccati, ma ci precede sempre con il suo perdono. Che Zaccheo diventi un modello di cammino per ciascuno di noi e che la grazia del Signore ci faccia capire che l’amore di Dio che perdona ci darà nuove forze per il nostro cammino e ci illuminerà la strada con la luce del suo spirito.

Buona domenica a tutti!

P. Sabu

XXX° DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

fariseo_e_pubblicano_oroCi aveva parlato, Gesù, della necessità di pregare: quando pregare? Sempre, ci diceva con la parabola della vedova insistente e il giudice disonesto. Oggi ci dice come deve essere la nostra preghiera e porta come esempio due atteggiamenti: quello del fariseo e del pubblicano.

Tutti e due si presentano nel tempio, luogo privilegiato della presenza di Dio dove si entra per creare un rapporto personale con Dio e per rivedere certi nostri atteggiamenti interiori. Anche se il luogo è lo stesso, i due non pregano allo stesso modo. Già le posizioni che assumono nella loro preghiera sono significative: uno sta in piedi, sicuro di sé e si rivolge a Dio come uno che non aveva nulla temere. L’altro non alza neanche lo sguardo al cielo e si batte il petto in segno di richiesta di aiuto. E Dio che vede il cuore esalta l’umiltà del secondo e dice che tornò a casa giustificato a differenza dell’altro.

Che cosa c’era di negativo nei comportamenti del fariseo? In fondo faceva le cose giuste e anzi, faceva molto di più del richiesto. Quindi Gesù non condanna le buone opere che ha compiuto, ma quel senso di autosufficienza che mette fuori dalla propria vita Dio stesso. Nella sua preghiera, il fariseo, non rende gloria a Dio per i doni che gli ha dato ma perché egli, con le sue forze è riuscito a fare una serie di opere e  disprezza il pubblicano. “Solo io sono giusto e tutti gli altri sono peccatori”: questo è l’atteggiamento di base della preghiera del fariseo.

Quel “tornò a casa giustificato” non è l’approvazione di quello che aveva fatto nella sua vita il pubblicano. Veniva considerato come un peccatore pubblico ed era un nemico dichiarato del popolo perché estorceva le tasse per l’impero romano. Gesù approva invece, il modo di mettersi davanti a Dio del pubblicano che riconosce il proprio peccato e non si degna neanche di alzare gli occhi al cielo e prega Dio battendosi il petto. Questo atteggiamento purifica il suo cuore e torna a casa giustificato da Dio.

Quali sono i nostri atteggiamenti nella preghiera? Riusciamo anche noi a stare davanti al Signore con un cuore contrito e batterci il petto perché vogliamo chiedere misericordia da Lui? San Benedetto, al vertice dei dodici gradini della scala dell’umiltà cita proprio questa parabola e indica il pubblicano come modello di preghiera per il monaco. Un padre del deserto dice che chi riconosce i propri peccati è più grande di chi risuscita i morti; e chi sa confessare i propri peccati al Signore e ai fratelli è più grande di chi fa miracoli nel servire gli altri.

Riconoscere il nostro peccato davanti a Dio è lasciarci accogliere e perdonare da Dio: solo Dio può guarire la nostra debolezza. Non bisogna guardare agli altri con un occhio cattivo per vedere le loro mancanze: Gesù ci dice di stare attenti alla trave nel nostro occhio prima di togliere la pagliuzza dall’occhio del fratello.

Lasciamoci conquistare dalla misericordia e dall’amore di Dio che perdona le nostre mancanze e ci rende capaci di perdonare e amare gli altri. Chiediamo che ci doni la sua forza per essere umili e riconoscenti della sua grazia nel nostro cammino di fede. Che la luce dello Spirito ci accompagni ogni giorno della nostra vita.

Buona domenica a tutti!

P. Sabu

XXIX° DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

mose-aronne-curPregare sempre, senza stancarsi mai: è l’esortazione che Gesù rivolge ai suoi discepoli oggi nella pagina del Vangelo. San Luca ha un amore particolare per questo tema della preghiera e ci presenta più di una volta Gesù che prega e che così diventa stimolo per i discepoli tanto da chiedergli di insegnar loro a pregare.

La parabola che Gesù dice è la parabola del giudice disonesto e della vedova. Per un giudice essere denominato disonesto non è il massimo eppure è così che viene chiamato dal Vangelo. La vedova supplica il giudice perché le facesse giustizia. La condizione delle vedove non era una delle migliori al tempo di Gesù e venivano messe un po’ ai margini della vita sociale. Ma la vedova diventa esempio di preghiera per tutti: non desiste e continua ad importunare il giudice finché questo cambia e fa giustizia per lei.

La prima lettura ci porta un esempio molto bello della preghiera: è un immagine che ci insegna la necessità di sostenersi a vicenda nel nostro cammino. Nel tener alzate le mani di Mosè, Aronne e Cur diventano esempi per noi perché il nostro dovere è anche quello di sostenere attraverso la nostra preghiera chi si trova nel bisogno. Infatti quando Gesù parla di pregare senza stancarsi mai, Luca usa un termine che ci dice di non lasciar cadere mai le braccia.

Com’è la nostra preghiera? E’ una preghiera che insiste davanti a Dio oppure che si stanca molto facilmente? Ci sembra alle volte di pregare tanto e non ricevere mai le risposte dal Signore. Abbiamo la pazienza di aspettare il tempo del Signore oppure siamo noi che cerchiamo di dettare i tempi al Signore? E che cosa chiediamo a Dio nelle nostre preghiere?

Dio non è una macchina a gettone: noi mettiamo il gettone della preghiera ed esce fuori il favore che Gli chiediamo. Se fosse così sarebbe molto facile, ma la preghiera è un cammino e come dice bene la tradizione cristiana bisogna pregare comparandolo al respiro. Il respiro è una cosa talmente naturale che non ce ne accorgiamo nemmeno, ma se si interrompe o c’è qualche ostacolo ce ne accorgiamo subito. Così deve essere la preghiera, non un cumulo di richieste di aiuto, ma un respiro che ci tiene in vita. Il filosofo francese Jacques Maritain scriveva: “Il credente perfetto prega così bene che ignora di pregare”. Bisogna cercare di capire come è la nostra preghiera e fare di tutto perché possiamo migliorarci.

Concludiamo con una stupenda confessione autobiografica di Gandhi: “Non sono un letterato né uno scienziato. Cerco soltanto di essere un uomo di preghiera. Senza la preghiera avrei perso la ragione. Se non ho perso la pace dell’anima, malgrado le prove, è perché questa pace mi viene dalla preghiera. Si può vivere alcuni giorni senza mangiare, ma non senza pregare. La preghiera è la chiave del mattino e il chiavistello della sera”.

Sarebbe davvero molto bello se usassimo questa chiave per aprire le nostre giornate e andare a dormire dopo aver chiuso la nostra anima con questo chiavistello. Che il Signore ci aiuti e lo Spirito del Padre ci accompagni.

Buona domenica a tutti!

P. Sabu

XXVIII° DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

10lebbrosiGrazie! Una parola magica. Quante volte al giorno diciamo questa parola e quante volte lo sentiamo dire dagli altri! Certe volte qualcuno lo dice tanto per dire, superficialmente, ma altre volte nasce proprio dal cuore e ha un sapore tutto particolare. Alle volte non bisogna neanche dirlo con le labbra e basta un cenno, un sorriso per intendersi.

Nel nostro vivere quotidiano ci sono dei momenti in cui il rendimento di grazie diventa importante. Appena ci svegliamo il pensiero va al Signore e lo ringraziamo per averci donato un nuovo giorno. Ci sono dei momenti in cui lo ringraziamo per tutti i doni che ci dà. Alle volte lo ringraziamo per le persone che ci ha messo accanto. Ma ci sono purtroppo delle occasioni in cui prendiamo le cose troppo per scontate e non ringraziamo abbastanza: capita nel rapporto con Dio, ma anche nel rapporto con il nostro prossimo. Ogni tanto bisogna ricordarsi che la preghiera più bella è quella del ringraziamento e di lode e solo dopo arriva quella della supplica.

Il Vangelo ci presenta una situazione particolarmente significativa: sono dieci i lebbrosi che vengono guariti, ma solo uno ritorna per ringraziare Gesù. La parola di Dio sottolinea che quest’uomo era un samaritano. Gli altri, quindi, erano israeliti e si aspettava un certo comportamento da loro. Eppure si rivelano non all’altezza del loro essere israeliti.

Ciò che conta, allora, non è essere parte di una certa categoria di persone, ma di aver fede. Domenica scorsa la Parola di Dio ci invitava ad avere la fede quanto un granello di senape e oggi ci dice che la fede è alla base della nostra salvezza. Infatti al lebbroso, guarito e ritornato, Gesù dice: “La tua fede ti ha salvato”. Non solo acquista la guarigione esteriore, ma anche la guarigione dell’anima che in fondo è la cosa più importante.

Come ci comportiamo noi nel nostro cammino di vita interiore? Prima di tutto bisogna capire se siamo persone grate, capaci di ringraziare Dio e il prossimo per tutto quello che si ha nella vita o siamo talmente superficiali che prendiamo tutto per scontato e abbiamo un cuore ingrato. Se siamo cristiani ci si aspetta un modo di agire da ciascuno di noi. Non perché qualcuno ci obbliga, ma perché l’abbiamo scelto noi. Il punto di partenza di ogni giorno sia il nostro ringraziamento al Signore e la nostra fede in lui. Non basta essere guariti esteriormente che è già una cosa meravigliosa, ma essere guariti interiormente è davvero molto più importante.

Anche il lebbroso quando torna lo fa lodando il Signore e poi si prostra davanti a Gesù per ringraziarlo. Sono degli atteggiamenti di qualsiasi discepolo del Signore. Continuiamo la preghiera dei discepoli: Signore, aumenta la nostra fede, ma diciamogli pure grazie perché con la sua presenza ci sostiene e guarisce le nostre infermità interiori.

Chiediamo che lo Spirito del Signore ci aiuti a comprendere sempre meglio la Sua parola e ci aiuti ad essere sempre grati per i meravigliosi doni che ci elargisce nella sua bontà e misericordia.

Buona domenica a tutti!

P. Sabu

XXVII° DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

semedisenapeQuanto un granello di senape: è la misura di fede che il Signore chiede a noi. La parola di Dio ci interroga e ci invita a pensare alla fede che ognuno di noi ha. Forse la prima cosa da fare di fronte a questa parola è proprio quella di chiedere al Signore, come hanno fatto i suoi discepoli, di aumentare la nostra fede.

Alla base della nostra religione c’è la fede. Come dice bene papa Benedetto XVI, alle volte noi prendiamo per scontato che la religione e fede siano la stessa identica cosa, ma ciò è vero solo in maniera limitata.

Porta due esempi: l’Antico Testamento e la religiosità romana. Il primo si presenta complessivamente sotto l’aspetto della legge piuttosto che quello della fede. Si da primariamente un assetto di vita in cui per altro la fede acquista importanza sempre maggiore. Nella seconda, la religione è un sistema  di riti per cui, l’importante non è la fede, ma la minuziosa osservanza delle cerimonie.

Per il cristiano invece la fede è fondamentale: è la fede nella persona di Gesù che cambia la sua vita. Un’adesione incondizionata alla volontà di Gesù che lo mette in cammino insieme con i suoi fratelli che condividono la stessa adesione. Ecco perché questo granello di senape diventa importante. Il nostro essere discepoli non si manifesta con un’osservanza perfetta, ma soltanto esteriore, di un insieme di cerimonie. La stessa celebrazione eucaristica, massima espressione del nostro ringraziamento al Padre, perderebbe significato se alla base della celebrazione non ci fosse la fede che ci fa stare davanti al Signore. Saremmo tutti degli attori. Come dice san Giovanni nella sua prima lettera, la nostra fede è la vittoria che ha sconfitto il mondo.

Diventa fondamentale per noi l’appello che tutta la parola di Dio oggi ci rivolge: Il giusto vivrà per la sua fede, ci ricorda la prima lettura. Per vivere la nostra fede abbiamo bisogno di ascoltare la voce del Maestro ed è l’esortazione del salmo: Ascoltate oggi la voce del Signore. Per ascoltare non basta avere le orecchie aperte, ci vuole soprattutto un cuore aperto. San Paolo esorta suo discepolo Timoteo di Non vergognarsi di dare la testimonianza al Signore e di custodire il dono prezioso della fede mediante lo Spirito Santo: proprio ciò che siamo chiamati a fare nel mondo di oggi.

Viviamo in un mondo che sfida il nostro cammino di fede e molte volte vediamo in noi stessi quei cristiani che non hanno il coraggio di testimoniare la propria fede. L’esortazione della parola di Dio è proprio quello di ricordarsi che a noi è stato dato lo Spirito di forza, di carità e di prudenza. Questo Spirito ci aiuta in questo cammino della nostra vita e ci rende capaci di testimoniare il nostro amore per il Signore.

Bisogna rinnovare ogni giorno l’impegno cristiano della nostra vita e chiedere che il Signore ci stia vicino sempre e che diventi la ricompensa più grande della nostra vita. Con lui accanto la strada diventa percorribile. Facciamo nostra la supplica degli apostoli: “Signore, aumenta la nostra fede”. Che lo Spirito del Padre ci illumini e la sua misericordia ci accompagni sempre.

Buona domenica a tutti!

P. Sabu

XXVI° DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Questa settimana purtroppo non mi è stato possibile preparare la riflessione, pubblichiamo allora il testo completo del Vangelo della Domenica.

IL RICCO E IL POVERO LAZZARO
Luca Cap. 16, ver. 19-31
il_ricco_e_il_povero_lazzaroIn quel tempo Gesù diceva ai discepoli: «C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: «Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma». Ma Abramo rispose: «Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi». E quello replicò: «Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento». Ma Abramo rispose: «Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro». E lui replicò: «No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno». Abramo rispose: «Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti».

Buona domenica a tutti!

P. Sabu